Paesaggi domestici

Scatto per afferrare ciò che scorre sotto la superficie. La mia fotografia è connessa al lato più intimo e nascosto di me. È un tentativo incessante di autodefinizione, di oggettivazione nello spazio della mia identità altrimenti dispersa. Perché l’obiettivo ricompone, cura. La messa in scena cristallizza ogni volta quell’istante di pura istintività in cui il mio corpo, attraverso il gesto e l’atteggiamento, dà forma concreta a uno stato d’animo e ne diventa strumento di comunicazione.

Nell’autoritratto mi esploro senza interferenze, traccio segni d’indipendenza. Sono libera di esserci, come voglio, come mi sento. Lascio emergere un’emozione, spesso una sofferenza, e cerco di non ripiegarmi su me stessa, provando a intessere un dialogo interiore che entri anche in risonanza con chi guarda.

Nei Paesaggi domestici ho raccolto una serie di autoritratti scattati nel mio appartamento affacciato sull’Appennino, nelle stanze in cui soggiorno quando sono in vacanza, in case abbandonate del mio territorio. Amo entrare in relazione con questi ambienti, con gli oggetti che incontro, con le storie che questi custodiscono e con quelle che io posso immaginarci e costruirci dentro.

Nella solitudine protetta dei luoghi familiari assaporo il sollievo della piena libertà d’espressione. In quelli disabitati scorgo il fascino di posti antichi che diventano eterni, conservati dalla polvere che li avvolge e dalla vegetazione con cui poco a poco si fondono. Sono spazi in cui regna il vuoto, imperfetto, pericolante, ma per questo pieno di ogni possibilità. Spazi privi di punti di riferimento in cui l’assenza mi incalza a lasciare un’impronta.
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